“Pianeta vs. Plastica”: il tema dell’Earth Day

È tra le principali cause di inquinamento ambientale e la sua decomposizione è un rischio per la salute. Ecco perché tra gli obiettivi c’è quello di raggiungere una riduzione del 60% della produzione entro il 2040

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Lunedì 22 Aprile 2024
“Pianeta vs. Plastica”: il tema dell’Earth Day

Fa parte della nostra quotidianità e purtroppo, sempre più spesso, anche dei nostri mari. La plastica è uno dei mali dei nostri tempi, tra le principali cause di inquinamento ambientale e responsabile di importanti danni alla fauna e flora selvatica, oltre che alla salute umana. Non a caso l’Earth Day 2024 avrà come tema “Pianeta vs. Plastica”: un argomento che vuole essere “un richiamo all’azione, una richiesta affinché agiamo ora per fermare la diffusione della plastica e proteggere la salute di ogni essere vivente sul nostro pianeta”, ha dichiarato Kathleen Rogers, presidente della rete promotrice dell’Earth Day.

L’obiettivo

L’obiettivo della Giornata mondiale della Terra 2024 è espresso dallo slogan “60×40”, ovvero raggiungere una riduzione del 60% della produzione di plastica entro il 2040. Un obiettivo ambizioso, ma necessario per garantire un futuro alle nuove generazioni.

Tre gli elementi chiave sui quali l’iniziativa fa leva: il rischio per la salute, il cambiamento della domanda e l’importanza di investire in soluzioni innovative. È ormai risaputo infatti quanto l’esposizione alle sostanze chimiche tossiche che vengono rilasciate dalla plastica decomposta sia deleteria per la salute umana.

Per poter intervenire su questo fronte, tuttavia, è necessario puntare a un cambiamento della domanda da parte dei mercati. Da qui, la richiesta di Earthday.org al Comitato negoziale internazionale sull’inquinamento di plastica (INC) di imporre la fine della produzione di plastica monouso entro il 2030 nel Trattato globale sulla plastica. Una possibile via è data dall’investimento in soluzioni innovative, che possano prendere il posto della plastica. Ma non solo. Il cambiamento può e deve partire anche dal singolo; ognuno di noi può dare il suo piccolo contributo.

A questo proposito, sono diverse le iniziative create da Earthday.org per promuovere delle azioni consapevoli da parte dei cittadini. Tra queste l’invito a preferire la moda sostenibile rispetto al “fast fashion” e la possibilità di unirsi al progetto The Great Global Cleanup (La Grande Pulizia Globale).

Una sfida rivolta ai più giovani da diffondere sui social network

Tra le iniziative promosse dall’Earthday.org e rivolte alla popolazione c’è anche la challenge #PlasticDetox. La proposta parla ai più giovani, invogliandoli a mettersi in gioco e a contribuire in prima persona in maniera efficace alla riduzione dell’uso di plastica.

La sfida consiste nel condividere sui propri social le tappe di un viaggio da fare totalmente all’insegna della “disintossicazione” da plastica, indicando i risultati raggiunti attraverso l’hashtag #PlasticDetox. Valgono scambi ecologici, idee creative e qualsiasi tipo di scelta sostenibile.

Un modo per sensibilizzare gli altri, ma anche per creare spirito di emulazione attraverso il passaparola, utilizzando il mezzo per eccellenza delle nuove generazioni.

Poliammidi bio dai rifiuti agricoli

Trovare materiali sostenibili che possano sostituire progressivamente la plastica è un obiettivo comune e quanto mai urgente. In tanti si sono mossi in questo senso, provando a dare vita ad alternative valide e di facile utilizzo. A questo proposito, vale la pena citare uno studio guidato dal team di Jeremy Luterbacher dell’Ecole Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL), che ha svelato un approccio pionieristico per produrre plastiche ad alte prestazioni da risorse rinnovabili. La ricerca, pubblicata su Nature Sustainability, introduce un metodo innovativo per la creazione di poliammidi – una classe di plastiche note per la loro resistenza e durata, le più famose delle quali sono le calze di nylon – utilizzando un nucleo di zucchero derivato da rifiuti agricoli. A differenza delle plastiche tradizionali, dunque, per produrle si utilizza una struttura di zucchero, presente in natura e generalmente completamente atossica. Le “poliammidi biobased” presentano proprietà in grado di competere con le loro controparti fossili, offrendo una valida alternativa per diverse applicazioni. Inoltre, i materiali hanno dimostrato una notevole resilienza attraverso molteplici cicli di riciclo meccanico, mantenendo la loro integrità e le loro prestazioni, un fattore cruciale per la gestione del ciclo di vita dei materiali sostenibili.

La necessità di modificare i consumi

Nonostante una consapevolezza sempre più diffusa sul tema, la produzione di plastica non si è mai fermata e, anzi, continua ad aumentare. A lanciare l’allarme è Inger Andersen, direttrice esecutiva del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, che pone l’accento non solo sull’importanza del riciclo, ma anche e soprattutto sull’esigenza di modificare i consumi, invitando ad agire su “tutta la catena”.

Come intervenire

“Non usciremo da questo pasticcio con il riciclo”, ha spiegato Inger Andersen in un’intervista all’AFP a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, come riporta l’agenzia di stampa Gea. “Ci sono diversi percorsi di soluzione. Ma credo che tutti riconoscano che lo status quo non è un’opzione”, ha aggiunto.

Necessario, dunque, agire su più fronti. Per prima cosa occorre “eliminare il più possibile la plastica monouso” e “tutto ciò che non è necessario”. Guardando ai prodotti esposti al supermercato, ad esempio, non ha senso avvolgere banane o arance nella plastica, essendo già protette da una buccia naturale.

Occorre poi ripensare al prodotto stesso: ciò che normalmente è liquido può essere in polvere, compattato o concentrato? Se sì, è importante proporre delle alternative, in modo da ridurre e, col tempo, eliminare gli imballaggi in plastica.

A questo riguardo, lo scorso anno è stata pubblicata la prima versione del futuro trattato internazionale contro l’inquinamento da plastica, che si spera possa essere finalizzato entro la fine del 2024. Il documento riflette l’ampia gamma di ambizioni dei 175 Paesi coinvolti e il divario tra coloro che sostengono una riduzione della produzione di polimeri di base e coloro che insistono sul riutilizzo e il riciclaggio.

Si rimane dunque in attesa del trattato definitivo, compreso il nuovo storico trattato per la protezione dell’alto mare firmato da circa 70 Paesi. “Il fatto che ci stiamo muovendo per proteggere questa parte dell’oceano al di là delle giurisdizioni nazionali è incredibilmente importante”, ha commentato in conclusione Inger Andersen.
Ultimo aggiornamento: 11:48

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