​Pd, il pressing su Schlein: «Non si candidi per la Ue, sarebbe un errore»

Ma i suoi insistono: «Con Elly capolista noi oltre il 22%. L’annuncio? Non c’è fretta»

Sabato 13 Gennaio 2024 di Andrea Bulleri
Pd, il pressing su Schlein: «Non si candidi per la Ue, sarebbe un errore»

 Tra i suoi fedelissimi c’è chi lascia intendere che la decisione, di fatto, sia già stata presa: «Sì, Elly si candiderà alle Europee». E che l’unica incognita sarebbe ormai la data dell’annuncio (magari a marzo, in concomitanza con la due giorni dei Socialisti europei a Roma, anche se per chi le è vicino «non c’è fretta»). Altri dem, invece, descrivono la segretaria del Pd come sempre più stretta tra due fuochi: correre da capolista a Bruxelles in tutte le circoscrizioni, rischiando di esporsi al cannoneggiamento di un pezzo di partito? Oppure rinunciare alla tentazione del testa a testa in salsa Ue con Giorgia Meloni, dando retta al pressing sempre più insistente di chi (come Romano Prodi) ammonisce che «candidarti dove sai che non andrai svilisce la democrazia», e «un partito riformista e democratico» non può permetterselo? 

LO STOP

Eccolo, il dubbio di Elly Schlein. Già, perché un conto – ragiona chi a largo del Nazareno non vede di buon occhio una corsa della segretaria – è che l’accusa di «ingannare gli elettori» arrivi da chi, come il numero uno pentastellato Giuseppe Conte, non perde occasione per rifilare stoccate all’alleata-rivale dem. Un altro che a suggerire il ripensamento sia il padre nobile del Pd (con un’uscita rilanciata, tra gli altri, pure da Carlo Calenda).

Parole che pesano, quelle del professore. Per quanto ieri l’ex presidente del Consiglio, ospite d’onore insieme alla segretaria di un’iniziativa in campidoglio per ricordare David Sassoli, abbia tenuto a sottolineare che «io non stoppo nessuno»: il mio, ha messo in chiaro Prodi, è «un discorso generale» che «vale per tutti. Se ci su cinque candidature ne scegli una, vuol dire che alle altre quattro non ci vai. In alcuni casi non ci vai proprio. E questo – ha ribadito – è un vulnus per la democrazia». 

Ma non sono solo le parole di Prodi a far suonare un campanello d’allarme nell’entourage della leader del Nazareno. Anzi: l’uscita del professore, semmai, pare aver dato la stura a chi finora aveva tenuto per sé i propri dubbi sull’opportunità che la segretaria (che sarebbe la prima a farlo, nella storia del Pd) si schieri come capolista dalle Alpi alla Sicilia. Anche tra i suoi sostenitori. 
Come Peppe Provenzano, il responsabile Esteri del Pd vicinissimo alla linea Schlein. E invece: «Le Europee – mette a verbale l’ex ministro – sono un appuntamento troppo importante per essere ridotte a una contesa personale fra leader». Se lo fa la destra non è una novità, ma «l’idea che ci sfidiamo» sullo sfondo di Bruxelles «è un’idea che per me non ci appartiene». Critiche non dissimili da quelle consegnate in una lettera all’Unità dall’ex sfidante alle primarie Paola De Micheli. Convinta che una corsa all’Eurocamera di Schlein «senza mantenere il proprio seggio a Bruxelles sarebbe un errore: il Pd non promuove candidature fittizie in un luogo istituzionale come il Parlamento Ue». E soprattutto «non è una forza leaderista, ma un partito plurale». «Non siamo il partito di un capo», insiste in anche Stefano Bonaccini. Che i rumors danno pronto a correre (e a restare) in Ue, se le trattative sul terzo mandato per i presidenti di Regione dovessero arenarsi. E poi, insiste il governatore dell’Emilia, «disponiamo di una classe dirigente credibile nei territori». Dunque meglio che le liste riflettano questa pluralità. 

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INTERESSI IN GIOCO

Nella minoranza qualcuno rincara la dose: «Neanche Renzi da segretario del Pd pensò di candidarsi a Bruxelles, schierando invece cinque donne capilista». Ed ecco l’altro nodo, sollevato dalle donne della minoranza dem: se Schlein corresse, l’esito sarebbe quello di “bruciare” le altre candidature femminili, per via dell’obbligo di alternanza di genere nelle preferenza. «E noi, che siamo un partito femminista, non possiamo permettercelo». 

Una lettura contestata da chi invece caldeggia la discesa in campo di Schlein, convinto che con la segretaria in prima linea il partito possa aspirare a superare “quota Zingaretti”, il 22,7 per cento raggiunto cinque anni fa. E che chi non vuole Elly in lista, è il sospetto, lo fa perché ha qualche «interesse» in gioco: «O teme che la propria corrente perda pezzi oppure di finire asfaltato». Uno schieramento, quello dei favorevoli alla corsa, al quale si iscrive Andrea Orlando: «L’opinione di Prodi è sempre rilevante – dice ad HuffPost l’ex ministro della Giustizia – ma c’è anche il bisogno di motivare fortemente l’elettorato». E per farlo, gli schleiniani ne sono sempre più convinti, Elly deve «metterci la faccia». A tempo debito, si intende. Altrimenti il rischio sarebbe quello di finire su una graticola che, di qui alle prossime settimane, si annuncia sempre più rovente.

Ultimo aggiornamento: 17 Gennaio, 12:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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