I fratelli Rachello, mulino e farina a Roncade da 30 milioni di euro

Lunedì 24 Luglio 2023 di Edoardo Pittalis
Andrea e Giuseppe Rachello

RONCADE - L'Italia dei mulini ha resistito fino all'Italia dei paninari. Prima ogni paese aveva il suo mulino, nella provincia di Treviso di sessanta ne sono rimasti tre. I 5000 mulini veneti degli anni Sessanta si sono ridotti in pochissimo tempo a duecento. La crisi era incominciata con la diffusione dei supermercati e la trasformazione della vecchia bottega del fornaio. E c'era stata la rivoluzione industriale che aveva cancellato brutalmente grandi realtà del settore, come il Mulino Stucky a Venezia chiuso nel 1955 dopo una lunga lotta sindacale e con 500 operai senza lavoro. Una sorta di fantastico castello gotico trasformato oggi in albergo. Gualtiero Bertelli ha cantato l'epopea dello Stucky: "Vardandolo cussì/ te fa na maravegia/ ch'el possa esser sta/ el pan de na famegia/ barconi che rivava/ col gran de l'abondanza/ lavoro, tanto lavoro 'na farina che xe oro".
Da tempo certi mulini esistono soltanto nella pubblicità e nelle vecchie fiabe. Il mulino moderno è tutto elettronico; lo metti in moto con un dito direttamente da casa. I Rachello resistono da 122 anni a Roncade sulle rive del fiume Musestre. Dall'Italia della Grande Guerra a quella della ricostruzione, poi in pieno boom economico i fratelli Andrea e Giuseppe Rachello si sono allargati.

Il mulino nel 1959 macinava 100 quintali al giorno, oggi lavora ininterrottamente e in 24 ore entrano 2400 quintali di grano; escono sotto forma di farina e di crusca. Da un chilo di grano si ottengono 750 grammi di farina e 250 di crusca usata per alimentazione animale. L'azienda ha 45 dipendenti, 15 trasportatori, 8 autocarri per le consegne di farina in sacco. Il fatturato ha superato i 30 milioni di euro. In un anno vengono macinati 53 milioni di chili di grano. Al vertice Gabriele Rachello, trevigiano, 65 anni, due figli. Un passato sportivo nella pallamano, un presente nel triathlon, senza dimenticare le maratone.


Praticamente è cresciuto nella farina?
«Sono davvero cresciuto in mezzo alla farina e al grano, oggi sarebbe improponibile per ragioni di sicurezza, ma allora giocavamo realmente dentro il mulino: era il nostro spazio, il nostro mondo segreto. Mamma Luigina ha 90 anni, è lei che regge il testimone della nostra storia. Abitavamo nella stessa azienda, praticamente casa e bottega. Il grano lo portavano i contadini, a fine giugno c'era la fila dei carri e trattori in attesa di scaricare. Un mondo che aveva il suo fascino, ma che è sparito».


Che tipo era papà Andrea? Nell'azienda ci sono le sue fotografie, in maniche di camicia, in bretelle, tra i sacchi di grano.
«Dal 1978 si è trovato da solo a portare avanti la baracca. Era uno che parlava poco, ma come quasi tutta la sua generazione che aveva passato la guerra, la fame e le bombe. Era rimasto orfano di padre a 5 anni, l'ha tirato su la nonna Teresa con gli altri quattro fratelli. Ha cominciato a lavorare prestissimo, mi raccontava che andava a vendere farina con una Vespa, di quelle col faro basso sulla ruota anteriore. Era il 1952, ci sarebbe piaciuto poter avere ancora quello scooter come pezzo della nostra storia. Sapeva fare di tutto, il meccanico, l'elettricista, il contabile. Taciturno, non ricordo di avere mai avuto grandi colloqui con lui. Era molto impegnato nella vita del paese, è stato consigliere e assessore comunale, era un democristiano legatissimo a Tina Anselmi della quale aveva una grande stima. È stato nel consiglio della banca locale e tra i fondatori dell'Aido di Roncade. In pubblico era un po' più espansivo, non discorsi, che quelli non li ha mai fatti».


Gabriele quando è entrato in azienda?
«Proprio nel 1978, quando lo zio ha lasciato la società. Io ero appena uscito dal liceo e avevo iniziato l'università di Economia a Ca' Foscari. Ho incominciato a dare una mano in azienda, a scaricare farina, a insaccarla, a caricare i camion. Dalla contabilità a mano si stava passando ai primi sistemi a scheda e poi sarebbero arrivati i primi pc. Dopo qualche anno si è aggiunto mio fratello che si è occupato delle vendite. Il lavoro è cresciuto sempre di più e abbiamo puntato sulla qualità del prodotto che nel nostro settore è fondamentale. Tu devi garantire al cliente una farina uguale tutto l'anno, anche se la farina che arriva nei vari mesi non è la stessa. L'abilità del nostro laboratorio di analisi è quella di creare il prodotto giusto per ogni cliente».


Ma quanti tipi di farina ci sono in commercio?
«Una volta c'era la farina 00, doppio zero, di pregio. Oggi parlano di farina raffinata, termine che mi fa incavolare: la macinazione è la rottura meccanica del chicco e la setacciatura; il cuore, la parte più bianca, è la farina doppio zero. Per legge la farina è divisa in cinque tipologie: doppio zero/ zero/ uno/ due/ integrale; si differenziano a seconda di quanto sono scure».


Come è cambiato il mercato del grano?
«Il problema vero è che l'Italia non è autosufficiente per il grano. Noi siamo costretti ad acquistare il 50% nella zona di Vienna, dove c'è un grano di alta qualità, questione di clima; l'altra metà è fondamentalmente veneta. Per quanto riguarda una parte delle nostre farine, le "farine di Oasi", le otteniamo da grano coltivato da 30 aziende con cui abbiamo accordi di filiera, un migliaio di ettari tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana. Da noi esce solo grano tenero per pasta fresca e all'uovo, il pane e tutti i suoi derivati, la pizza e i prodotti per pasticceria. Ma per tornare al grano: è cambiato nel senso che la ricerca ha tentato di trovare varietà che producano di più e con caratteristiche adatte alla lavorazione nella trasformazione in farina e prodotti da forno Una volta il fornaio faceva il suo lavoro, ma non c'erano grandi pretese da parte del cliente e la quantità era importante. Oggi il fornaio deve avere almeno venti tipi di pane nel suo negozio e altrettanti di farina. Quanto al mercato, dopo l'impennata folle di prezzo, più 40%, dello scorso anno, legata alle speculazioni e anche alla guerra, oggi sta scendendo. L'inflazione incide molto nel nostro mondo, poi è chiaro che frutta e verdura con il cambiamento climatico salgono. Il clima incide pesantemente nel nostro settore e in quello dei mangimi. L'Italia fa metà del grano duro mondiale ma esporta tantissima pasta e ha bisogno assoluto di grano duro dal Canada dove, però, da anni la siccità è drammatica. Così ci manca il 30% della materia prima».


E il problema della sostenibilità?
«Noi stiamo andando avanti con le Oasi che sono in zone lontane dalle autostrade e da altre fonti di inquinamento: tracciamo l'attività dell'azienda agricola dal seme al prodotto finito. L'Onu con l'agenda 2030 ha dato gli obiettivi per la riduzione dei trattamenti nei campi e nella concimazione. Noi ci siamo mossi in anticipo: lavorando nel Bio da oltre vent'anni, abbiamo visto che la rotazione dei terreni rende possibili queste riduzioni. Siamo partiti per difendere la nostra differenza italiana, quando in Europa si vedevano su tutti i sacchetti le bandierine italiane e le scritte 100% italiano, ma non era così. Da parte nostra cerchiamo anche di fare formazione alle aziende, la sostenibilità passa per la formazione consapevole».


C'è solo la farina nella sua vita?
«Ho sempre fatto sport. Fino ai 18 anni giocavo a pallamano col Quarto d'Altino, campionato di serie C. Dopo ho cominciato a correre, ho fatto un po' di maratone, compresa quella di New York nella quale ho corso abbondantemente sotto le quattro ore. Poi sono passato a dividere i chilometri tra quelli a piedi, quelli a nuoto e quelli in bicicletta. Mi sono dato al Triathlon, senza nessuna pretesa. Non mi sono mai ritirato, ho terminato tutte le gare alle quali ho partecipato».

Ultimo aggiornamento: 25 Luglio, 10:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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