Non c'è nulla come un buon ascolto che, nelle cose televisive, possa curare l'ansia. L'ansia, malattia senile del successo, che una veterana come Raffaella Carrà denunciava prima del debutto. Aveva ragione, il suo era un ritorno dopo tanto tempo e l'assenza produce incertezza. Ma aveva anche torto, perché partire con la scorta di Rosario Fiorello significa viaggiare al sicuro, come in autostrada, da casello a casello. Così è andata bene: 2,3 milioni di spettatori, che per Rai 3, sono una folla sterminata, il 9,4 per cento di share senza artifici, che ormai molti usano con il pretesto di anteprime ad hoc. Ha funzionato perché la semplicità funziona sempre, specie in una tv intossicata dalla frenesia dello strafare, degli effetti e degli affetti speciali, del colpire allo stomaco. Ha funzionato perché la signora Carrà conosce il mestiere, ha esperienza, ma ha conservato una curiosità infantile che usa con destrezza condendola dalle sue risate gutturali. E Fiorello è una spalla ideale. In fondo sono due assenti che riappaiono, testimonianza di quello che in tv non si vede (anche se i talk ormai sono come una selva nei palinsesti) e insieme potente rappresentazione della inguaribile nostalgia del passato.
Raffaella Carrà, boom di ascolti con Fiorello. I social impazziscono: «Li vorrei sul divano di casa mia»
Era meglio la tv di una volta o quella di oggi? La risposta è banale, anche perché i ricordi in genere tendono a conservare il meglio.