Niente moschea a Mestre (per il momento), la comunità islamica ci ripensa: «Non apriamo, facciamo ricorso»

Mercoledì 21 Giugno 2023 di Fulvio Fenzo
Niente moschea a Mestre (per il momento), la comunità islamica ci ripensa: «Non apriamo, facciamo ricorso»

MESTRE - Non è un dietrofront, ma è sicuramente un cambio di strategia. «Abbiamo deciso di attendere, non apriamo. Il ricorso verrà presentato, come la richiesta di sospensiva della diffida che ci è arrivata dal Comune, ma comunque per ora i locali resteranno chiusi. Sia come centro di preghiera che come centro culturale».
Ricapitolando.

L'ordinanza del 15 maggio scorso, firmata dal dirigente del Settore Edilizia del Comune dopo i controlli effettuati dalla Polizia locale in quello che era ancora un "cantiere" ma dove gli islamici si riunivano per pregare, dava alla comunità bengalese 30 giorni per adeguarsi. Un termine ormai scaduto da una settimana mentre, nel frattempo, nell'ex supermercato Pam ai piedi di un condominio con 65 appartamenti sono continuati i lavori di sistemazione di pareti e impianti.

CAMBIO DI STRATEGIA

«Ora è tutto finito - conferma Abdullah Somrat, 27enne di origine bengalese, referente della comunità islamica -, manca solo una pulizia generale e di portare qualche arredo. Ma, appunto, abbiamo deciso di aspettare». L'associazione si è ritrovata domenica sera per discutere su cosa fare e lunedì mattina Somrat ha incontrato il legale al quale l'associazione si è affidata dopo l'arrivo dell'ordinanza. «Ho parlato anche con il commissariato - aggiunge Abdullah Somrat - e alla luce di tutto l'apertura non è attualmente fattibile, ma procederemo con il ricorso al Tar contro quel provvedimento, chiedendo anche una sospensiva». Ricorso al Tar per il quale ci sono 60 giorni di tempo a partire dal 15 maggio (quindi resta meno di un mese) mentre, se la sospensiva venisse accolta, decadrà la diffida ad utilizzare quegli spazi, ma pur sempre in attesa della sentenza del Tribunale amministrativo.

Ma l'associazione islamica, che ha scelto di non forzare la mano evitando di svolgere l'attività religiosa, ha anche deciso di non utilizzare gli spazi presi in affitto in via Piave 17 anche come centro culturale. «Su questo ci muoveremo solo dopo aver avuto risposte dal commissariato e dall'Edilizia del Comune, ai quali invieremo una mail - aggiunge il referente -. Tra i nostri obiettivi c'è anche quello di organizzare degli eventi occasionali, realizzare una biblioteca e proporre attività rivolte ai bambini. Aspettiamo di capire».

E Prince Howlader, presidente dell'associazione "Giovani per l'umanità", impegnato per l'integrazione degli stranieri e la sicurezza in via Piave, ha qualcosa da dire sui tempi. «L'amministrazione deve comprendere che la comunità bengalese è ormai grande in città (si parla di qualcosa come 12mila presenze "reali", ndr.) e che queste persone hanno bisogno di fede e di un luogo dove pregare. L'associazione che vuole aprire in via Piave si è mossa autonomamente, ma anche chi come me capisce bene che non è corretto aprire una "moschea" in centro città crea solo disagi e conflitti, si è trovato di fronte ad un "muro"». Il riferimento è alla richiesta di possibile autorizzazione ad aprire un Centro culturale di preghiera in via Ca' Marcello 59, all'interno del capannone di un'ex autofficina che, proprio nei giorni scorsi, è stato invece venduto a dei privati per farne un deposito. «Avremmo voluto realizzare anche un centro di formazione e di istruzione per far crescere la professionalità dei nostri connazionali che arrivano in Italia - riprende Howlader -. Per un anno ho cercato di avere delle risposte che non sono arrivate, e intanto quel capannone è stato venduto ad altri. Ora continuiamo a cercare e sempre in quella zona, perché è necessario che lo spazio sia raggiungibile a piedi e in bicicletta dal centro. Tantissimi miei connazionali non hanno l'auto per muoversi».

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