A Scandolara batte un cuore boliviano: un intero paese si mobilita per adottare ragazzini sudamericani

Domenica 10 Dicembre 2023 di Vittorio Pierobon
Il presidente dell'associazione "Braccia aperte" Sergio Bonato con un gruppo di bambini boliviani

Scandolara, frazione di Zero Branco, provincia di Treviso. Un paesetto di circa 1500 abitanti. Eppure questa comunità, nel giro di 25 anni, ha devoluto oltre un milione di euro in beneficenza. Tutti destinati ad opere umanitarie in Bolivia. Probabilmente un record, che nasce dal rapporto strettissimo tra la gente di Scandolara, ma anche di altri centri nelle vicinanze, con il Paese sudamericano. Un legame familiare, perché molte famiglie della zona hanno adottato bambini in Bolivia.

Sono ben 25 i figli che sono arrivati dalle Ande, creando così una stretta connessione tra La Paz e Scandolara, dove ha sede l'associazione "Braccia aperte" che riunisce le famiglie che hanno adottato.

Una sorta di "famiglia allargata" che condivide un lungo percorso, che ha portato alla perfetta integrazione dei figli con la comunità locale. È una storia di amore e generosità, quella che accomuna i soci di Braccia Aperte. La racconta Sergio Bonato, ferroviere in pensione, padre di Veronica e Deysi, due dei 25 figli arrivati da lontano, presidente dell'associazione fin dalla sua costituzione nel 1998. «La prima domanda che molti mi pongono, è cosa c'entri Scandolara con la Bolivia. Il legame si chiama monsignor Tito Solari, arcivescovo emerito di Cochabamba, una grande provincia boliviana. Lui è originario del Friuli, ma come padre salesiano è stato mandato fin da giovane in missione in Bolivia. Io ero molto amico di padre Luigi Faganello, il parroco di Badoere, a cui ho raccontato il desiderio mio e di mia moglie Lorenza di adottare un bambino. Il sacerdote ha pensato subito di parlarne con monsignor Tito, che era stato il suo cappellano. In quel tempo era più facile adottare bambini che arrivavano da lontano. Abbiamo seguito tutto l'iter burocratico, giustamente siamo stati esaminati, come coppia genitoriale ed è stato valutato se eravamo idonei all'adozione. Dopo oltre un anno, abbiamo avuto la gioia di conoscere Veronica. Più avanti è arrivata Deysi».

L'ADOZIONE

Bonato, che nel frattempo è diventato nonno di due nipotini, ricorda con commozione quegli anni. Adottare non è facile, ci sono molte implicazioni psicologiche e l'inserimento in famiglia e nella società circostante può essere delicato. Soprattutto se il colore della pelle è diverso. E negli anni Novanta non era così frequente come oggi, imbattersi in altre etnie. Il ferroviere è stato apripista di una serie di adozioni nei paesi vicini, in provincia di Padova, Venezia e Vicenza. Arrivando a 25 figli. «Don Luigi - racconta ancora Bonato - ha messo in relazione le varie coppie per condividere le esperienze e anche il modo di risolvere i problemi. Da qui l'idea di creare un'associazione che mantenesse i legami con la Bolivia, la terra dei nostri figli, e con i missionari salesiani che ci avevano aiutato. Perché, naturalmente, prima di avere il figlio tutti noi siamo dovuti andare in Bolivia per un percorso di conoscenza reciproca e i padri salesiani ci sono stati di grande aiuto. Non solo monsignor Tito, ma anche padre Carlo Longo, all'epoca rettore dell'università salesiana di La Paz, e originario di Sant'Ambrogio di Trebaseleghe, a due passi da Scandolara. Frequentando le missioni boliviane ci siamo resi conto dello straordinario lavoro che compiono i nostri sacerdoti, ed abbiamo anche capito quanto bisogno c'è di aiuto concreto. Da qui è nata l'idea di raccogliere soldi da inviare ai missionari».

LA GENEROSITÀ

Ma con le offerte sembra impossibile arrivare ad oltre un milione di euro. Come hanno fatto i pochi soci di Braccia Aperte a raggiungere questo traguardo? «Quando ho fatto le somme sembrava incredibile anche a me - ammette il presidente - È stato decisivo l'impegno di tutti i soci. In particolare vorrei ringraziare, Mario Lazzaro, Remigio Feltrin, Luciano Baldo e Mario Alessandro Vanzetto. Un grande aiuto è venuto da importanti benefattori che hanno voluto restare dietro le quinte. Ma soprattutto è stato l'impegno costante di noi soci: non so quanti mercatini (con prodotti artigianali boliviani), quante vendite di uova pasquali, quante sagre di beneficenza e quante altre iniziative abbiamo organizzato. Non siamo stati mai fermi. Tutte le spese a nostro carico, tutti i ricavi in Bolivia. Aggiungiamo anche le entrate del 5 per mille e un finanziamento specifico della Regione Veneto, legato ad un progetto. E poi non va dimenticato il traino dei nostri testimonial, che hanno prestato il loro volto noto per promuovere Braccia aperte. Mi riferisco al campione di ciclismo tragicamente scomparso, Davide Rebellin, al nazionale di pallavolo, Alberto Cisolla, e all'olimpionico di nuoto, Federico Colbertaldo. Ma ripeto, fondamentale è stato l'aiuto di alcuni imprenditori che hanno fatto cospicue donazioni».

OPERE UMANITARIE

E con i soldi raccolti Braccia Aperte, in collaborazione con i salesiani, ha sostenuto, e continua a sostenere, numerose opere umanitarie. Ma in particolare sono due i grandi interventi realizzati: nella piana di Santa Cruz, l'Hogar de Dios che accoglie bambini cerebrolesi e a Monteagudo, cittadina andina, un convitto scolastico che ospita giovani dai 4 ai 18 anni. «Sono due opere di cui siamo particolarmente orgogliosi. L'Hogar de Dios è un istituto, dotato di moderne tecnologie, che accoglie una quarantina di bambini cerebrolesi, purtroppo respinti dalle famiglie e destinati a una vita breve e dolorosa. Noi diamo loro tutta l'assistenza necessaria, consentendo standard di vita, pur nella tragica condizione, umani e possibilmente sereni. Il centro è gestito da una persona fantastica, Antonio Ceccato, un volontario trevigiano, fino a pochi anni fa assieme alla moglie Marisa, che purtroppo è morta. L'altra grande opera è la scuola di Monteagudo, che consente di dare un'istruzione a centinaia di bambini e giovani che vivono in paesi sperduti sulle Ande. Per la realizzazione di quest'opera è stato decisivo l'impegno di Antonio Ferronato, un nostro socio, residente a Mogliano, sposato con una donna originaria di quella zona».
Ora, dopo 25 anni di attività frenetica, Bonato pensa ad un ricambio generazionale. «Noi siamo pronti a lasciare spazio ai nostri figli - auspica il presidente - l'importante è non mollare. Qualcuno mi obietta che anche in Italia c'è molta gente che ha necessità di essere aiutata. Lo so, ma il nostro cuore, nessuno ce ne voglia, batte per la Bolivia. Una terra a cui siamo legati da un sentimento di gratitudine. Ci ha donato la cosa più preziosa: i nostri figli».

Ultimo aggiornamento: 12:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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