A casa sua le botte erano la normalità. «Era la routine - ha spiegato ieri durante la sua audizione in Tribunale -, pensavo fosse normale». Ha parlato di ceffoni, manici di scopa rotti sulla schiena, mattarello e chiave inglese usati per colpirlo se prendeva un brutto voto a scuola, una nota, rispondeva male o fumava. Un quadro familiare di sofferenze e paure, per il quale sono chiamati a rispondere mamma e zio di un ventiduenne che, dopo l’ennesimo episodio di violenza, si è rifugiato nella stazione dei Carabinieri ed è stato affidato ai Servizi sociali. «Adesso la vita mi sorride», ha detto ieri ai giudici facendo capire di aver trovato un equilibrio. E quando il presidente Alberto Rossi gli ha chiesto se, come previsto dalla riforma Cartabia, intendeva mantenere la querela nei confronti dei parenti anche per le lesioni patite dopo un’aggressione, dopo un momento di riflessione ha spiegato che «la mia vita è andata avanti da allora, possiamo anche non procedere, non infierirei...».
LA TESTIMONIANZA
Ieri il giovane è stato sentito subito dopo la deposizione del carabiniere che lo accolse in caserma «tremante e agitato». Origini straniere, cresciuto senza il padre, ha ammesso di non essere stato «il più facile dei figli». «Avevano un metodo di educazione particolare - ha detto rispondendo alle domande del pm Marco Faion - Ogni volta erano botte. Per mia madre il mattarello era un must».
LA RIBELLIONE
Anche capelli lunghi e piercing erano motivo di discussione e di insulti omofobi. «Quando mi hanno cacciato di casa - ha testimoniato - dissi che sarei andato dai carabinieri e mio zio mi minacciò: “ti metto in un sacco e faccio sparire il tuo cadavere a Barcis”». Ha dichiarato di essere stato picchiato fino al 2018/2019. Era alle superiori, cominciava a rispondere a tono, «mi sono incattivito». «Quando mia madre mi ha rotto la scopa di alluminio sulla schiena, mi sono messo a ridere e lei ha capito che doveva chiamare lo zio. Sapevo che esageravano, ma credevo fosse così per tutti». A 18 anni, rientrato dopo essere uscito senza permesso, ha tentato di togliersi la vita: «La porta di casa era chiusa a chiave e l’ho sfondata, mi sono reso conto che mi avrebbero ammazzato e allora ho tentato di farlo io». Un episodio a cui è seguito il ricovero in ospedale e l’intervento del Csm. Prima di essere seguito dai Servizi sociali, è stato ospitato anche dalla famiglia di un’amica. Dopo la denuncia dell’ottobre 2021 è uscito di casa, ha intrapreso un percorso di psicoterapia ed è andato a lavorare.
LA DIFESA
I due imputati sono difesi dagli avvocati Roberto Arduini e Giovanni Melideo, che ieri hanno rivolto al giovane diverse domande tese a sondare la sua attendibilità e a indagare sui suoi comportamenti. Secondo la difesa, la denuncia fatta dal giovane avrebbe i contorni di una vendetta, pertanto le contestazioni della Procura andrebbe ridimensionate. «Non è un caso di maltrattamenti in famiglia - hanno osservato - al massimo un abuso di mezzi di correzione». Un ragazzo ingestibile? Che adesso si sottrae ai contatti con la madre e si ribellava perché gli vietavano di uscire con gli amici? Di aver ignorato alcuni messaggi della madre dopo essere andato via di casa lo ha ammesso («I turni durante il lavoro stagionale erano devastanti e ne approfittavo per dormire... potrei aver risposto poco»). Restano da approfondire, anche con i testimoni citati dal Pm per la prossima udienza, le violenze domestiche e le minacce contestate agli imputati, anche di morte, come quando è tornato da casa con i capelli dipinti.