NOVENTA PADOVANA - Alessandro non riesce più a guardare un aereo nemmeno in televisione: «Se lo vedo in un film prendo il telecomando e cambio canale».
Come vivete questo anniversario?
«Sempre con grande dolore, venticinque anni non bastano per cancellarlo. Una vita intera non basta».
Chi era vostra figlia?
«Una ragazza che aveva sempre sognato di fare la hostess. Aveva studiato da operatrice turistica al Ruzza imparando diverse lingue, si era formata in Inghilterra e in Spagna, giocava anche a tennis. Aveva iniziato a lavorare nel 1995 per la Air Dolomiti. Era felicissima, era la sua vita. Si era fatta da sola».
Che ricordi vi legano?
«Ci telefonava sempre. “Mamma, papà, sono sotto l’aereo. Sono a Buenos Aires”. L’approdo in Alitalia era stato il coronamento di un sogno, parlava sempre di quello e a casa si studiava tutte le rotte. Poi è passata a Minerva, una compagnia legata ad Alitalia che faceva solo voli nazionali. Eravamo così felici che fosse qui vicino a noi. E invece, la vita...».
Il primo pensiero legato a quel 25 febbraio 1999?
«Alessandra amava due cose: volare e andare al mare. È morta in mare dopo aver volato. Evidentemente il destino ha deciso così».
Cosa ricordate di quella mattina?
«Sapevamo perfettamente su che volo fosse nostra figlia perché avevamo a casa il suo piano mensile. Quel Cagliari-Genova era il terzo e ultimo volo della mattinata. Abbiamo appreso la notizia dalla televisione, poi sono arrivati qui tutti i nostri parenti. Non era ancora stata ufficializzata la morte di nostra figlia, ma in cuor nostro noi purtroppo già lo sapevamo».
Le ore successive?
«La conferma l’abbiamo avuta leggendo il Televideo, poi la compagnia aerea si è fatta sentire alla sera. Siamo partiti per Genova e abbiamo portato la divisa che Alessandra teneva a casa. Volevamo che venisse seppellita con quella».
Vostra figlia è morta cercando di salvare altri passeggeri...
«Per noi è un grandissimo orgoglio. I piloti erano riusciti ad uscire, lei è rimasta in cabina con i passeggeri. Il portellone era incastrato, lei è morta annegata».
Il pilota è stato condannato a due anni e otto mesi.
«Non ci interessa parlare di responsabilità o meno e di certo non sono arrivati risarcimenti, ma non è questo che conta. Diciamo solo una cosa: in tutto questo tempo sarebbe stato bello ricevere almeno una telefonata o una lettera da quel pilota. Purtroppo non è arrivata».
Tenete ancora qualcosa di vostra figlia in casa?
«Abbiamo preso un armadio nuovo per metterci dentro tutte le sue cose. Ogni tanto le guardiamo, ma è difficile. Vale anche per le fotografie».
Appese alla parete avete invece moltissime foto della vostra nipotina...
«Si chiama Alice, ha undici anni ed è la bambina di nostra figlia Margherita. Le abbiamo raccontato tutto su Alessandra, la portavamo in cimitero quando aveva solo tre mesi. Porterà avanti il ricordo della sua zia».
Resta l’orgoglio per il gesto eroico di vostra figlia. Nel momento di massimo panico ha pensato a salvare vite e a prendersi cura dei passeggeri...
«La tragedia è capitata di giovedì. Il sabato ha suonato il telefono e noi eravamo ancora senza voce per la disperazione. Era il prefetto di Genova che ci annunciava che in due giorni erano state fatte tutte le pratiche per la medaglia d’oro al valore civile. Un bel riconoscimento».
Venticinque anni dopo cosa resta oltre al dolore?
«Per noi venticinque anni fa si è chiusa una vita e ne è cominciata un’altra, molto più difficile. Resta l’orgoglio di aver visto crescere Alessandra. E lo ripetiamo: non è morta in un incidente stradale, non è morta nel fuoco. È morta in acqua dopo essere stata in aria. Tutto ciò che lei adorava».