Mentre l'Iran è in lutto e sulla cupola della moschea di Jamkaran, poco distante dalla città di Qom, è stata issata una mandiera rossa, simbolo di vendetta dopo l'attentato rivendicato dall'Isis e costato la vita a 84 persone, Papa Francesco «profondamente addolorato per la perdita di vite umane causate dalle recenti esplosioni a Kerman» ha inviato per il tramite del cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, un telegramma destinato alle massime autorità iraniane. Solitamente il Vaticano quando diffonde messaggi di cordoglio del genere dopo sciagure, tragedie o atti terroristici completa l'informazione mostrando alla stampa anche il destinatario del telegramma che, di volta in volta, può essere il presidente o il capo del governo. Stavolta, invece, nel testo diffuso stamattina dal Vaticano non è stato rivelato. Papa Francesco fa sapere di pregare per «coloro che sono morti e per le loro famiglie in lutto esprimendo allo stesso tempo la sua solidarietà spirituale con i feriti. E invoca - si legge - su tutto il popolo iraniano le benedizioni di saggezza e di pace dell'Onnipotente».
I rapporti tra la Santa Sede e l'Iran sono assai buoni.
A suggellare le relazioni con l'Iran anche lo storico incontro con l'Ayatollah Al Sistani avennuto in Iraq, due anni fa, durante il viaggio apostolico sulle orme di Abramo per visitare la città di Ur dei Caldei. Nato in Iran ma naturalizzato iracheno questo religioso è considerato una guida spirituale e politica di primaria importanza nel mondo sciita proponendosi come punto di moderazione nella polveriera mediorientale.
E prima ancora, nel 2016, in Vaticano era stato ricevuto dal Papa con tutti gli onori l'ex presidente Hassan Rohuani, un moderato, considerato riformista, che poi è stato battuto alle elezioni dall'attuale conservatore Raisi.