È una riabilitazione post mortem quella di Carmelo Patti. L’ex patron della Valtur si è scrollato di dosso la più infamante delle accuse per un imprenditore: avere stretto un patto con i boss stragisti. Da Bernardo Provenzano a Matteo Messina Denaro.
LA PARABOLA DEL MANAGER
Nel paese in provincia di Trapani Carmelo Patti era nato in una famiglia povera. Faceva il venditore ambulante di vestiti assieme al padre. Nel lontano 1962 furono dichiarati falliti. Poi, passo dopo passo, un’ascesa vertiginosa. I guai giudiziari di Patti iniziarono con il fallimento di alcune sue imprese. Il primo processo fu infatti per bancarotta post fallimentare. Poi seguì quello per associazione a delinquere finalizzata alla commissione di frodi fiscali. A cascata arrivarono le indagini per i presunti interessi mafiosi nelle sue imprese, l’imputazione per concorso esterno in associazione mafiosa e per il riciclaggio aggravato connesso all’acquisto del villaggio turistico di Favignana. Patti è sempre stato assolto o la sua posizione archiviata, ma i sospetti erano bastati per fare scattare la confisca in sede di misure di prevenzione. Ad accusarlo era stato soprattutto Angelo Siino, il cosiddetto “ministro dei Lavori pubblici” di Cosa Nostra. Raccontò di avere conosciuto Patti nel corso di una riunione, tra il 1989 e il 1990, nella casa di campagna di Filippo Guttaduro, il cognato di Matteo Messina Denaro. Erano presenti il padre di quest’ultimo, don Ciccio Messina Denaro, e Francesco Messina. Pezzi da novanta della mafia trapanese. I cablaggi furono la sua prima attività, concentrata fino al 1991 nel Nord Italia e in Campania. L’impresa di Patti, la Cablelettra, lavorava per Fiat ed Alfa Romeo. Tornò in Sicilia quando la casa torinese decise di affidargli anche le commesse che provenivano da Termini Imerese. Qui iniziò la sfilza di investimenti nel settore del turismo. Ora la riabilitazione post mortem e l'amarezza, manifestata dai suoi legali, per una giustizia di prevenzione che sa essere ingiusta soprattutto nei tempi.