Alessandro Borghese: «La ristorazione è viziata dal nero e dalle promesse, i miei dipendenti pagati e felici»

Lo chef: «Le recensioni sono diventate piazza di sfogo, di vendetta»

Giovedì 7 Marzo 2024
Alessandro Borghese: «La ristorazione è viziata dal nero e dalla promesse, i miei dipendenti pagati e felici»

Alessandro Borghese si sente milanese. Per tante ragioni, soprattutto affettive. «Mia moglie Wilma Oliveiro, due figlie meravigliose nate qui, opportunità lavorative. È una città pragmatica e meritocratica». Milanese da 15 anni senza averne l'accento. La parlata è molto romana e c'è pure un po' di Napoli, del papà. Al Corriere della Sera lo chef stellato e fortunato conduttore di tanti programmi televisivi.

Ma prima di tutto è un ristoratore.

Alessandro Borghese, cosa ha detto lo chef

 

E come tanti è investito da commenti, giudizi non veritieri che possono condizionare il lavoro, la propria attività fatta di tanti, enormi sacrifici. Soprattutto se si finisce nel mirino degli hater. Insomma le recensioni-vendetta, sono pericolose, «sono un’arma. Oggi più di prima c’è chi le usa in modo vendicativo o feroce». Le recensioni?  «Le recensioni sono diventate piazza di sfogo, di vendetta, non sono costruttive. Restano un grosso strumento pubblicitario, il più forte. Però dipende da come viene usata l’arma: tutto può diventare feroce».

Ed è successo anche a lui di riceverne. «Certo. Io metto cuoricini anche ai peggiori hater perché, a quasi 50 anni, penso di conoscere il mio valore e dove sono arrivato. Mi preoccupa di più un cliente non soddisfatto in sala».

Quando si parla di lui come chef, come volto, bisogna fare per forza di cose un passo indietro. Ai suoi inizi, non semplice. «Direi faticosi, specie quando si veniva a sapere che mia madre era un’attrice. Io non lo dicevo ma ovviamente usciva. E allora: “È il figlio di Barbara Bouchet, cosa ci fa qui? Perché sta tra patate e carciofi se è nato ricco?”. Ma io non sono nato ricco. Se sei etichettato ti crei un nome solo con i fatti».

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Intanto a Milano è pronto ad aprire un nuovo bistrot collegato al Padel palace, aperto un anno fa con Diletta Leotta, Max Giusti, Junior Cally, Gabriele Corsi e Umberto Chiaramonte. «Aspetterò lì i giocatori: ci sarà tanto street food. Si va in campo, poi birra e burgherone». Ma sia chiaro: lui a padel non ci gioca!

Milano è una città per pochi? «Milano costa ma è anche benestante, c’è chi si può permettere di uscire a cena più volte a settimana. Ma sono anche un imprenditore che dà lavoro a 40-50 persone e la difficoltà la vedo quando cerco personale: per un giovane trasferirsi è arduo, magari deve svegliarsi tutte le mattine alle 5 perché vive dove l’affitto è abbordabile». E proprio per questo Alessandro cerca di trattare i suoi dipendenti con un occhio di riguardo:
«Cerco di farmi dire di sì offrendo, oltre a un contratto con 13esima e 14esima, benefit e welfare aziendale: pasti al ristorante, spese mediche agevolate, consulenti per la ricerca di alloggi, avvocato interno per le pratiche. Penso di poter dire che i miei dipendenti siano felici, ma siamo sempre in cerca». Ma oggi quello che paga di più è il tempo libero. «La moneta di scambio oggi è il tempo: la mia generazione ha fatto del lavoro una missione, 5 ore o 15 non contava perché là volevamo arrivare, adesso si cerca più libertà: non posso dar loro torto».

Domanda diretta del Corriere della Sera: vede meno abitudine al sacrificio? Risposta pronta di Borghese: «Non sempre ma in alcuni casi sì. Gli stipendi all’inizio sono quelli che sono, senza esperienza non sono corrette le pretese esagerate: sono pronto a darti di più in un’ottica di crescita e meritocrazia».

Alessandro Borghese non si tira indietro e parla anche di cifre: «Chi arriva senza esperienza inizia con 1.200 euro netti, ma con gli extra (un’ora per pulire, il banchetto che dura un po’ di più) sale anche a 1.600 euro». Da lui nessuno lavora gratis, nemmeno gli stagisti ma «non tutti fanno così: se noti gigantesche brigate e una sala che fa 30 coperti stai certo che la metà della gente non viene pagata». Purtroppo «la ristorazione è viziata dal nero e dalle promesse».

LA SUA CUCINA

A casa tende a non cucinare lui. «solo sotto festa o sotto minaccia: sono il cuoco del Natale, della brace pasqualina. Per il resto ho la fortuna di avere mia suocera Renata che è bravissima: in cucina comanda lei». Una passione quella della cucina nata da papà. «Mio padre da buon napoletano invece la domenica ha sempre cucinato. La mia vena gastronomica nasce qui: non uscire la domenica e seguirlo nelle peripezie gastronomiche».

Prima di tornare in Italia, Alessandro Borghese è naufragato in Africa, sull’Achille Lauro, quella che fu sequestrata al porto di Napoli. «Siamo affondati il 30 novembre ’94 al largo della Somalia. È scoppiato un motore, sono morti in due. C’erano 180 persone di equipaggio e circa 700 passeggeri». Lui si salvò su una zattera.

Ha detto di no alla Cina per restare a Roma, poi a Milano e diventare un volto televisivo. Merito di sua mamma, tra l'altro, che mandò un provino a Discovery. Mai avuto paura della telecamera: «A casa mia venivano Tognazzi, Mastroianni, Placido. Ero abbastanza abituato ma arrivare in tv è stato un caso».

Ultimo aggiornamento: 17:58 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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