«A salvare i migranti nel Mediterraneo anche l’equipaggio tutto di polesani»

Il racconto di Alessandro Metz, fondatore del progetto Mediterranea saving humans: «Risposta alla politica dei porti chiusi e del blocco delle Ong»

Lunedì 11 Dicembre 2023 di Nicola Astolfi
La fiaccolata a conclusione della settimana dei diritti umani

ROVIGO - «Non racconto mai quante persone abbiamo salvato: quando posso, racconto chi ho salvato». Alessandro Metz, “armatore sociale” della Mare Jonio, è tra i fondatori del progetto Mediterranea saving humans e - come ieri a Rovigo nell’incontro che ha concluso la “Settimana dei diritti umani” - non può fermarsi ai numeri. Dopo 30 anni passati come operatore sociale e attivista, nel 2018 ha risposto alla domanda: «Cosa facciamo per chi ha talmente voglia di vivere da rischiare di morire in mare, a poche miglia da noi, per realizzare i propri sogni?». “Mediterranea”, così, è una risposta «alla politica dei porti chiusi e del blocco delle Ong». Ecco l’acquisto della nave Mare Jonio per soccorrere i migranti. «Abbiamo chiesto soldi a tutti, anche a Soros, trovando donazioni e un fido da Banca Etica, garantito da quattro parlamentari e dallo stesso Metz». È diventato l’interruttore per accendere le raccolte fondi e gli “equipaggi di terra”, i gruppi che sensibilizzano sulle migrazioni nel Mediterraneo.

Dal prestito di Banca Etica per acquistare la nave e avviare la missione, l’obiettivo di raccogliere 700 mila euro con il crowdfunding è stato raddoppiato nel primo anno e mezzo di attività, «con donazioni medie di 25 euro».


QUARANTA EQUIPAGGI
E a oggi sono attivi 40 equipaggi di terra tra Italia, Europa e Stati Uniti, compreso - da qualche mese fa - l’equipaggio di terra del Polesine, con attivisti provenienti da varie associazioni. Dalla fase di avvio, ha raccontato Metz al centro parrocchiale Marvelli, «sono cambiate molte cose. Nel frattempo le persone continuano a dover fuggire e a morire, mentre la propaganda continua ad avere la vita facile, tra gli “Aiutiamoli a casa loro” e i “C’è un’invasione”, perché così si resta fermi ai numeri. Con i numeri, però, non c’è empatia né condivisione». Per questo Metz parla di storie di persone, non di numeri, e spiega che «il salvataggio non ha niente a che fare con la politica. La gente di mare è una comunità con patto di reciprocità: io ti salverò perché tu salverai me». Da questa cultura nascono anche le convenzioni sul soccorso in mare, mentre «oggi c’è il tentativo di esternalizzare i confini dell’Italia in Libia, Tunisia e Albania», e il quadro normativo «fa pressione sulla flotta civile per disobbedire all’obbligo di soccorso». A scompaginare il quadro potrebbero essere sentenze come quella del Tribunale di Napoli: riguarda il caso, del 2018, di una nave privata che aveva ricondotto in Libia oltre 100 persone soccorse in mare, e la sentenza ha riconosciuto che questa condotta “integra i reati di sbarco e abbandono arbitrario di persone, e di abbandono di minore”.


LIBIA INSICURA
Il verdetto conferma il principio per cui un salvataggio è completo solo quando i sopravvissuti sbarcano in un luogo sicuro: «Non possiamo riconoscere l’autorità libica come autorità a cui affidare in sicurezza persone, davanti a chi ci ha raccontato stupri, torture e che gli spezzano un dito al giorno purché si facciano mandare soldi da casa». «Sono persone abusate - ha proseguito Metz - ma che stanno rivoluzionando il mondo. Forse sono le ultime a credere nell’Italia e nell’Europa, mentre i nostri figli sono “cervelli in fuga”». La “Settimana dei diritti umani” si è conclusa con una fiaccolata da piazza Tien An Men a piazza Garibaldi per il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci