Il professore dell'anno in California è padovano: «Sono stato scelto dagli studenti, un grande orgoglio»

Mercoledì 27 Dicembre 2023 di Marco Miazzo
IL PROFESSORE PADOVANO - Guido Bordignon insegna negli Stati Uniti

PADOVA -  «Guido è un professore eccellente che ha infuso nella classe entusiasmo, ciò che ho imparato ha cambiato il modo in cui vedo il mondo». Così scrive un allievo di Guido Bordignon, padovano classe 1978, ricercatore e docente dell’Università della California a Santa Cruz insignito del titolo di professore dell’anno. Dai banchi di Scienze farmaceutiche del Bo alla cattedra californiana di Biologia cellulare e molecolare, Bordignon è probabilmente il padovano più rinomato nel mondo universitario oltreoceano.

I suoi stessi studenti le hanno assegnato il premio di miglior professore…
«Sono molto orgoglioso di questo premio perché sono stato scelto dagli studenti. Il “Excellence in teaching award” è conferito al massimo a una decina tra i professori nominati. Oltre a questo premio, essendo stato il più nominato tra i 450 finalisti, ho vinto anche il premio “Ron Ruby” per l’eccellenza nell’insegnamento».

Qual è il segreto del suo metodo d’insegnamento?
«Le neuroscienze ci insegnano che quando i neuroni sono più attivi incrementano le connessioni. Così nelle mie classi instauro un’atmosfera carica di entusiasmo, energia e anche divertimento. Gli studenti sono messi al centro del processo di apprendimento di cui io mi sento solo un facilitatore, proponendo loro casi di studio, domande con risposte aperte a cui devono applicare il pensiero critico e il ragionamento, e in generale una molteplicità di strategie per l’apprendimento attivo».

Facciamo un passo indietro, cosa l’ha portata negli States?
«La ricerca scientifica. Uno stimolo incredibile che ho scoperto alla facoltà padovana di Scienze farmaceutiche: feci la tesi sui radiofarmaci, poi grazie a una borsa di ricerca europea ho lavorato sugli acidi nucleici a Barcellona e a Venezia. Sentivo però di voler imparare di più, lessi un articolo che parlava di una farmacia da scoprire sui fondali degli oceani, portata avanti da una delle scienziate più talentuose del mondo all’Istituto oceanografico Scripps di San Diego. Solitamente le molecole per i farmaci le scopriamo dalle piante terrestri, ma due terzi del pianeta sono sott’acqua: quante molecole ci sono ancora da scoprire lì sotto? La sfida era scoprire nuove molecole allora sconosciute, così feci le valige per San Diego».

 

In California cos’ha scoperto?
«Lavoravo su una classe di molecole antitumorale e pensavo di averla trovata capendone la biosintesi in laboratorio, ma all’ultima fase di sperimentazione sui primati la tossicità della molecola è risultata troppo alta e non abbiamo potuto trarne il farmaco. Fu una vera e propria sconfitta che mi pesò molto, anche perché avevo finito il dottorato e sarei dovuto tornare a casa».

Un ostacolo che non è però stato invalicabile…
«No, perché a San Diego conobbi un professore che studiava microalghe e ne rimasi affascinato. Al tempo i biocarburanti erano considerati il futuro e a Venezia si stava pensando di costruire un grosso impianto per sfruttare gli olii contenuti nelle microalghe e produrre biodiesel. Ma come nelle raffinerie non si produce solo diesel, pensavo di trovare nuovi composti bioattivi nella biomassa algale che potessero aiutare la sostenibilità economica producendo molecole ad alto valore aggiunto».

La ricerca l’ha quindi portata fino in Antartide…
«Dal 2010 al 2011 ci sono stato tre volte per fare esperimenti sulle microalghe in un contesto in cui, essendoci poca esposizione solare, sono costrette ad avere un metabolismo molto più veloce. Per queste ricerche il Congresso mi ha conferito la Antarctic Service Medal. Ma la cosa più importante successa in Antartide è stata conoscere Andrea, che qualche anno dopo è diventata mia moglie. Oggi abbiamo tre bambine e Galileo, un terranova di 82 chili, viviamo a Santa Cruz in California».

Oggi insegna all’università di Santa Cruz. L’insegnamento ha soppiantato la ricerca?
«Con l’insegnamento ho trovato la mia vocazione, essendo teaching professor il mio primo compito è insegnare ma continuo a condurre le mie ricerche. Oggi penso di essere nel posto migliore al momento migliore per avere un impatto con il mio lavoro: siamo tra le migliori università pubbliche americane, la maggior parte dei nostri studenti sono giovani provenienti da contesti disagiati e da minoranze etniche. Per loro l’università è possibilità di un futuro migliore e sono orgoglioso di guidarli nel loro percorso».

Non le manca Padova?
«Si, ma in programma ho una tournee in città di un mese con la squadra di rugby universitaria che alleno. Da giovane a Padova ho giocato a rugby al Cus e al Petrarca, poi a Santa Cruz ho scoperto che c’era la squadra e sono diventato uno degli allenatori. Le università di Padova e Santa Cruz stanno facendo un gemellaggio, con l’occasione lo suggelleremo venendo a giocare in città a fine estate prossima. Sarà un bel ritorno a casa».

Ultimo aggiornamento: 16:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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