Una vita spezzata dal virus: «Ecco chi era mio zio Giorgio»

Lunedì 15 Giugno 2020 di Germana Cabrelle
Il laboratorio da falegname di Giorgio Marangon, vittima del Coronavirus
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SAN GIORGIO IN BOSCO - Ha cessato di vivere, a causa del Covid, il giorno del suo onomastico, il 23 aprile scorso. Giorgio Marangon, 92 anni, era ricoverato alla Rsa di Cittadella ma fino all’anno scorso svolgeva ancora piccoli lavori di falegnameria nel laboratorio attiguo all’abitazione di famiglia, in quella che da sempre è stata la sua bottega artigianale nella frazione di Cogno. Non ci è stato possibile stargli vicino nel momento del commiato – spiega la nipote Luisa – così lascia un vuoto ancora più grande: solo una voce che ricordo al telefono sempre più flebile, fino all’esito di positività al Coronavirus comunicataci dai sanitari quattro giorni prima della sua morte.
Luisa Marangon, ieri mattina, ha voluto aprire le porte del laboratorio e dell’abitazione dello zio a un appassionato di storia locale, Renzo Brunoro. Ha fatto vedere come quel piccolo mondo antico dello zio Giorgio sia rimasto intatto com’era, esattamente come lui lo aveva lasciato. Il tavolo con la morsa, le raspe, le frese. Chiodi inscatolati, attrezzi allineati. Sgubbie e martelli, trucioli di segatura. Per ironia della sorte, appesa a un macchinario che serviva per il taglio e la rifinitura del legno, c’è una mascherina protettiva, ancora penzolante da una leva. Gli serviva a coprire naso e bocca, per non respirare la polvere sottile mentre era impegnato a lisciare il legno e le sospensioni volatili nell’aria insidiavano il respiro. Due zone di lavoro in un unico annesso rustico: al piano terra le attrezzature pesanti come incudini e seghe a nastro, e al secondo livello, su una specie di soppalco con veranda vetrata, la luminosità e lo spazio per far asciugare i lavori finiti. Casa e bottega, insomma, a pochi passi di distanza, come da sempre in Veneto è concepita l’attività familiare. Sul tavolo della cucina ancora arredata con una tovaglia lavabile a fiori viola, Luisa ha allineato le foto più significative: ritratti in bianco e nero e a colori, frammenti di una vita fatta non solo di impegno quotidiano ma anche di passioni e socialità nel tempo libero.

AL CINEMA DI PAESE
Giorgio suonava il clarinetto nel gruppo bandistico di San Giorgio, ha fatto parte per tantissimi anni del sodalizio musicale come testimoniano le foto dove indossa il cappello col frontino e la camicia bianca. É stato proiettorista al cinema parrocchiale e Luisa ricorda quando nelle domeniche in cui lo zio doveva presidiare l’avvio delle bobine con le pellicole dei film, spiegava ai suoi occhi curiosi di bambina la magia del cinematografo. Giorgio ha collaborato a lungo anche con il gruppo di volontariato per la sagra, affiancando l’ex parroco don Marcello in diverse attività. Mentre parla, Luisa stringe fra le mani un attestato di riconoscimento che l’Upa di Padova nel 2002 ha conferito a Giorgio Marangon “per la fedeltà e l’impegno profusi a favore dei valori dell’artigianato”. «Mio zio era una persona mite e generosa - dice - nei primi tempi in cui lui e mio papà lavoravano insieme, ricevevano commesse anche dalle Ferrovie dello Stato per costruire i sedili dei treni. Hanno lavorato anche nel settore dei serramenti per la realizzazione di controtelai e dell’arredamento per lo scheletro di divani e poltrone.

IL CONTAGIO
Nel Centro Residenziale Anziani di Cittadella, Giorgio Marangon era ospite dall’8 gennaio, poco prima della conclamata pandemia. Prima era stato ricoverato nell’ospedale di comunità di Camposampiero. Celibe, era seguito in casa da una badante, giorno e notte. Ci sentivamo al telefono due volte la settimana dopo che in casa di riposo ci è stata preclusa la possibilità delle visite – ricorda commossa Luisa. Marangon, in dialetto veneto significa falegname. Nome omen per un uomo vissuto sempre di onesto lavoro e che si è congedato dalla vita nel giorno del santo patrono.



 
Ultimo aggiornamento: 08:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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