In Medio Oriente la guerra regionale che nessuno voleva è iniziata.
Fino a quel momento, la domanda è se e come il conflitto può essere contenuto. A Gaza, gli Usa non sono riusciti a condurre a più miti consigli l’alleato israeliano, compatto fra establishment della Difesa, governo e opinione pubblica nell’annientare definitivamente Hamas. Stessa cosa in Cisgiordania dove l’azione concertata di coloni ed esercito israeliano ha condotto a una impennata di violenze che l’Ufficio Onu per gli affari umanitari quantifica in 344 palestinesi uccisi, 4.215 feriti e almeno 198 famiglie sfollate dal 7 ottobre.
L’ALLARME
Al confine israelo-libanese «la possibilità di un’escalation sta crescendo» ed è «legata a un errore di calcolo di una delle parti», precisa il portavoce della missione Unifil Tenenti. Del resto, nonostante la tiepida rappresaglia di Hezbollah all’uccisione del numero due di Hamas Al-Arouri a Beirut abbia smascherato la riluttanza della milizia sciita filoiraniana ad aumentare le ostilità, Israele ha ribadito a suon di bombardamenti che la finestra per la diplomazia si sta chiudendo. Iraq e Siria sono invece i principali teatri dello scontro indiretto fra Usa e Iran. Per il Pentagono, le truppe americane dispiegate nel quadro della coalizione anti-Isis sono state attaccate dalle milizie sciite filoiraniane almeno 130 volte dal 17 ottobre, e secondo funzionari americani se uno degli attacchi uccidesse soldati statunitensi la reazione sarebbe letale e «potrebbe andare fuori controllo». Circostanza non più escludibile dopo che negli ultimi attacchi missilistici di Teheran a Erbil nel Kurdistan iracheno, esplosioni sono state udite dal consolato americano, e nella regione di Hasake in Siria, un missile balistico iraniano è precipitato poco lontano da una base militare Usa.
I RAID
Così, impotente di fronte alla destabilizzazione del Paese per giochi di guerra altrui e intrinsecamente legato all’Iran, il premier iracheno Sudani ha chiesto a Washington di avviare un ritiro «rapido e ordinato» dei suoi 2.500 militari. In Siria, inoltre, Israele ha avviato un’ondata senza precedenti di raid aerei contro camion merci, infrastrutture come gli aeroporti di Aleppo e Damasco, e gruppi coinvolti nel trasferimento di armi dall’Iran ai suoi alleati, a partire da Hezbollah in Libano. In 3 mesi in Siria le forze israeliane hanno ucciso 19 membri di Hezbollah e alcuni pasdaran iraniani. Collateralmente, poi, anche il Pakistan è stato coinvolto da missili e droni iraniani volti a neutralizzare due basi del gruppo terroristico iraniano Jaish al-Adi. Infine lo Yemen, dove resta incerto se e quanto l’Iran possa e voglia contenere l’iniziativa degli Houthi. La rappresaglia statunitense e britannica - inevitabile per via dell’uso per la prima volta nella storia di missili balistici antinave contro le difese americane - non ferma la milizia sciita che promette: «Proseguiremo gli attacchi». Un crinale delicato, fra deterrenza muscolare ed escalation senza controllo, dove il calcolo del rischio non è mai scientifico e il pericolo di incidenti esplosivi è sempre più alto.