Beniamino Zuncheddu assolto dopo 33 anni in carcere: «Mi hanno rubato la vita, ora ho bisogno di un risarcimento»

L'ex allevatore di Burcei si è sempre proclamato innocente e ha trascorso 33 anni in carcere

Sabato 20 Aprile 2024
Beniamino Zuncheddu, assoluzione per insufficienza di prove ma i giudici: «Non c'è certezza però sua sua innocenza»

Dubbi, non certezza granitica sulla reale colpevolezza (così come sull'innocenza) di Beniamino Zuncheddu che non avrebbe dovuto, quindi, trascorrere 33 anni in carcere. È passato troppo tempo dai fatti e, sottolineano i giudici, la troppa attenzione mediatica ha contribuito negativamente alla ricostruzione dei fatti. Ma leggiamo alcuni estratti delle motivazioni della sentenza di assoluzione depositate dai giudici.  

Zuncheddu, le motivazioni dell'assoluzione: «Ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza»

Il processo di revisione «non ha condotto alla dimostrazione della certa ed indiscutibile estraneità di Beniamino Zuncheddu» alla strage di Sinnai (Cagliari) dell'8 gennaio del 1991 in cui furono uccisi tre pastori «ma ha semplicemente fatto emergere un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza». È quanto scrivono i giudici della quarta sezione della Corte di Appello di Roma nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 26 gennaio l'ex allevatore di Burcei è stato assolto. Zuncheddu, proclamatosi sempre innocente, è tornato in libertà dopo 33 anni di carcere.

«Zuncheddu fu condannato perché il teste oculare dichiarò di averlo riconosciuto come l'aggressore, nonché per aver fornito un alibi falso – si legge – tuttavia oggi va mandato assolto dai delitti a lui ascritti ai sensi del comma 2 dell'articolo 530 c.p.p. (insufficienza di prove, ndr.) e quindi non con assoluzione piena, perché all'esito dell'istruttoria residuano delle perplessità sulla sua effettiva estraneità all'eccidio, commesso verosimilmente da più di un soggetto, uno dei quali, diversamente da quanto opinato nell'istanza di revisione, non era un cecchino provetto, non riuscendo nell'intento omicidiario nemmeno dopo aver sparato due colpi a distanza ravvicinata in un luogo talmente stretto che ‘non occorreva prendere la mira'».

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I giudici: «Non v'è però prova piena della sua innocenza»

Per i giudici di Roma, «è chiaro che una volta venuta meno la prova-cardine di un teste oculare che, sopravvissuto al massacro, asserisce di avere riconosciuto almeno uno degli aggressori, di fronte alla quale, giustamente, nel corso del procedimento del 1991, non si poteva che pervenire ad una sentenza di condanna, oggi la residua scorta indiziaria non può ritenersi sufficiente per pervenire alla conferma della condanna di Zuncheddu, oltre ogni ragionevole dubbio. Non v'è però prova piena della sua innocenza – si legge nelle motivazioni - e ciò perché egli fornì un alibi fallito che poi fu sostenuto da due testi pacificamente falsi». «La già esile speranza di poter pervenire ad una ricostruzione veritiera ed attendibile dello svolgimento dei fatti dopo trent'anni – sottolineano i giudici - è stata gravemente pregiudicata dalla forte attenzione mediatica riservata a questa vicenda, tale per cui sono state divulgate disinvolte ricostruzioni dei fatti arricchite da discutibili commenti, giudizi personali, congetture, valutazioni unilaterali prive del dovuto contraddittorio (e quindi lacunose e parziali) che hanno inciso sulla genuinità dei testi, che invece avrebbero forse potuto offrire qualche spiraglio di verità se fosse stato lasciato libero il campo alla memoria di ciascuno di essi, non influenzata da narrazioni preconfezionate».

Lui: «Ora ho bisogno di un risarcimento dello Stato»

 «La mia famiglia mi ha aiutato, i miei fratelli hanno lavorato per me. Soprattutto mia sorella e mio cognato. Ma ho bisogno di un risarcimento da parte dello Stato. Ho anche dei debiti.

Intanto, lo Stato magari mi dia mille euro al mese…». Lo dice Zuncheddu che è oggi a Marsala (Trapani) per partecipare al convegno organizzato dalla Camera penale «Stefano Pellegrino» sul tema «I tre grandi errori giudiziari. Enzo Tortora, Giuseppe Gulotta, Beniamino Zuncheddu (storie e testimonianze delle vittime della malagiustizia)". 

«Come ho fatto a non impazzire in questi 32 anni in carcere? E' difficile spiegarlo - dichiara Zuccheddu all'ANSA - Pensavo: un giorno o l'altro devo uscire perché sono innocente. Mi hanno rubato la vita. Tutti, comunque, in carcere, mi trattavano bene. Sia i carcerati che le guardie. Erano convinti della mia innocenza».

Rinchiuso in carcere due mesi prima di compiere 27 anni, Zuncheddu ne è uscito a 59 con l'ordinanza di scarcerazione disposta dalla Corte d'appello penale di Roma il 25 novembre 2023. E durante la detenzione, non essendosi mai dichiarato colpevole di un reato che non aveva commesso, non ha potuto usufruire degli istituti premiali previsti dalla legge. E' stato recluso nella casa circondariale di Badu 'e Carros, a Nuoro, nel vecchio istituto penitenziario di Cagliari e nel nuovo, quello di Uta. Di cella in cella, anno dopo anno, pur essendo innocente. 

Avvocato difensore: «Non certa sua estraneità? Onere prova spetta ad accusa»

«La sentenza dà ragione alla richiesta di revisione nella valutazione della testimonianza di Luigi Pinna: il testimone chiave, che nel 1991 veniva descritto come persona integerrima, di sani principi, che mai avrebbe mentito, in realtà viene descritto come una persona malleabile, pronto a compiacere il prossimo. Proprio ciò che abbiamo sempre sostenuto e che avevano sostenuto i difensori di Beniamino nel 1991: Luigi Pinna aveva accusato Beniamino per compiacere il poliziotto». Lo afferma l’avvocato Mauro Trogu, difensore di Beniamino Zuncheddu, commentando le motivazioni della sentenza dei giudici della quarta sezione della Corte di Appello di Roma che lo scorso 26 gennaio hanno assolto l'ex allevatore di Burcei, tornato in libertà dopo 33 anni di carcere. «Un altro aspetto importante su cui ci viene data ragione è che l’assassino non agì da solo. Da questo punto di vista risultano pienamente condivisibili sia la denuncia che io feci nel 2019, chiedendo nuove indagini per accertare tutti i responsabili, sia le indagini svolte dalla Procura della Repubblica di Cagliari alla ricerca di quei soggetti. Indagini che si sono rivelate dirimenti perché è lì che sono state acquisite le intercettazioni di comunicazioni più importanti - prosegue il difensore - Un aspetto meno condivisibile è quello sulla valutazione dell’alibi. L’alibi serve a dimostrare che l’imputato fosse altrove nel momento in cui il fatto è stato commesso se vi è qualche indizio che potesse essere sul luogo del delitto in quel momento. Ma in questo caso non vi è nessun elemento di prova, nessuno straccio di indizio che Beniamino fosse nell’ovile quando sono stati commessi gli omicidi». «La parte più deludente della motivazione sono le conclusioni - sottolinea l'avvocato Trogu - Infatti, nonostante tutto il castello di accuse contro Beniamino sia crollato, si dice 'l’assoluzione non è piena perché non ha dimostrato la sua totale estraneità ai fatti'. Si tratta di un ragionamento che contrasta con la nostra Costituzione e con la nostra legge processuale. La Costituzione e la Corte Edu contemplano tra i diritti civili fondamentali quello della presunzione di innocenza: fino a che la mia responsabilità non è provata, io devo essere considerato innocente. È l’accusa a dover provare la mia colpevolezza, non io a dover provare la mia innocenza. Sembra di essere tornati indietro di 80 anni» conclude.

Ultimo aggiornamento: 22 Aprile, 08:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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