Polveriera Cisgiordania: è il quinto fronte di guerra per Israele

Scontri a fuoco e agguati: a Gerusalemme un’automobile travolge e ferisce tre ebrei

Martedì 23 Aprile 2024 di Lorenzo Vita
Polveriera Cisgiordania: è il quinto fronte di guerra per Israele

Israele è in stato d’allerta per la Pasqua ebraica.

Il premier Benjamin Netanyahu e le forze armate sono concentrati sui confini dello Stato ebraico, dalla Striscia di Gaza al Libano, fino alla Siria. Ma a preoccupare gli apparati di sicurezza è anche il fronte più silenzioso ma non meno inquietante che va da Gerusalemme alla Cisgiordania. Lì dove israeliani e palestinesi vivono l’uno di fronte all’altro e dove i focolai rischiano di deflagrare in un incendio più esteso in grado di mettere a ferro e fuoco non solo la West Bank, ma tutto Israele.

L’ultimo segnale d’allarme è quanto successo ieri a Gerusalemme, dove un’automobile è piombata su un gruppo di ebrei ultraortodossi mentre camminavano nelle strade di Romema. Dopo avere ferito tre passanti, i terroristi hanno continuato la loro corsa finché uno di loro è sceso dalla macchina con un mitragliatore, e hanno provato a nascondersi in un negozio. La polizia è riuscita a raggiungerli e a catturarli, mentre le forze armate hanno fatto irruzione nella loro casa a Hebron. Ma il terrore vissuto a Techelet Mordechai Street ha fatto capire che la tensione può esplodere da un momento all’altro.

LA VENDETTA PER BENJAMIN
La Cisgiordania ribolle: è il quinto fronte aperto. Il rischio di incidenti o di una nuova ondata di terrorismo è aumentato soprattutto dopo l’uccisione di Benjamin Achimeir, il quattordicenne israeliano che era uscito da una fattoria a nordest di Ramallah per portare al pascolo le greggi e che non ha fatto più ritorno. I coloni degli insediamenti israeliani hanno fatto scattare subito le ricerche, facendo irruzione nei villaggi dei palestinesi. E con la scoperta del corpo, sono esplose immediatamente le violenze, tra auto bruciate e colpi di arma da fuoco, al punto da costringere il ministro della Difesa, Yoav Gallant, a chiedere ai suoi concittadini di non farsi giustizia da soli. Ieri notte, lo Shin Bet e le Israel defense forces hanno annunciato di avere arrestato il presunto assassino del ragazzo israeliano: un ventunenne della città cisgiordana di Duma. Ma la violenza dei coloni (su cui ieri è intervenuto anche l’Alto rappresentante dell’Unione europea, Josep Borrell) e l’omicidio del giovane hanno già fatto accendere i riflettori di tutti gli apparati di sicurezza. Non solo dell’esercito, ma anche tra le forze di polizia e l’intelligence, che temono che il minimo episodio possa far scattare la rabbia di entrambe le parti, specialmente delle frange più radicali. Ieri, la polizia israeliana ha arrestato una dozzina di giovani tra i 13 e i 21 anni mentre tentavano di arrivare al Monte del Tempio di Gerusalemme per sacrificare capre e agnelli. Le forze dell’ordine li hanno fermati e hanno confiscato gli animali. Ma questo episodio è un ulteriore indizio dei timori provocati dai gesti delle fazioni più radicali.

RESA DEI CONTI INTERNA
L’attenzione è sempre più alta. Soprattutto perché all’interno degli apparati israeliani è iniziata la resa dei conti per le falle nella sicurezza di questi mesi. Ieri ha presento le sue dimissioni il capo della direzione dell'intelligence militare, il maggiore generale Aharon Haliva, ritenuto responsabile per quanto successo il 7 ottobre ma anche per gli errori commessi prima della strage compiuta da Hamas. Dopo alcune ore, il quotidiano Haaretz ha riferito che ad agosto si dimetterà anche il capo del Comando Centrale delle Idf, Yehuda Fuchs. E in questo clima di tensione, l’apertura del fronte cisgiordano può essere il colpo del ko per molti vertici militari e delle agenzie di sicurezza. Le Idf, su cui sono piovute anche le accuse per il battaglione locale Netzah Yehuda, battono la regione palmo a palmo con operazioni mirate specialmente contro i campi profughi. L’ultima ha avuto luogo a Nur Shams, vicino Tulkarem, dove i militari dello Stato ebraico sono stati impegnati per 50 ore nel setacciare le case dei sospetti, i depositi di armi e gli arsenali con gli esplosivi. Secondo le ong sentite da Al Jazeera, sono più di 8.425 i palestinesi arrestati nella West Bank dal 7 ottobre. E nelle ultime settimane, lo Shin Beth si è concentrato sul flusso di armi provenienti dall’Iran. Un’operazione gestita da Teheran di cui hanno parlato al New York Times anche fonti di alto livello di Usa, Israele e Iran. Per aumentare la pressione sullo Stato ebraico, gli ayatollah sanno sa che la Cisgiordania può rivelarsi fondamentale. E gli esperti sono d’accordo: un conflitto nella regione può essere uno scenario anche peggiore di quello della Striscia di Gaza.

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