Mahmood, alias Alessandro Mahmoud, si trova in pieno “European Tour” nelle maggiori città d'Europa.
L'ultimo disco, “Tuta Gold”, è quello più intimo, «quello più empatico. E più maturo a livello emotivo. Al terzo disco, c’è anche maggiore attenzione, per esempio sulla produzione vocale, nei dischi precedenti curata un po’ meno. Bisogna sempre alzare la qualità. E crescere».
Poi "Nei letti degli altri" «è stata l’opportunità di raccontarmi in maniera più dettagliata e soprattutto più sincera. Prima i lati negativi cercavo di nasconderli. Adesso, invece, butto proprio tutto nelle mie canzoni». Insomma «uso la scrittura come autoanalisi», questa la confessione.
Canzoni con tanta malinconia anche se «mi piace sempre lasciare un risvolto positivo, una speranza», continua al quotidiano. Certamente «il dolore aiuta. Per me, la felicità può essere raggiunta solo attraverso un percorso doloroso».
Mahmood si sente felice. «Ma spero che al momento più felice della mia carriera ci debba ancora arrivare, altrimenti mi sparo». E se si parla di immaginazine, «ogni tanto mi immagino morto». Lo dice per davvero a La Repubblica. «È una sensazione. Brutta, ve’? Speriamo di no. Però non mi sento ancora a metà del mio percorso. Ho tanti progetti in mente». Uno di questi è andare in America per scrivere lì con produttori nuovi…
Vita privata. «Ammetto che ci sto pensando a diventare padre, da un po’. Forse sì, forse no. Intanto vorrei un cane. Ma sono sempre in giro».
Il suo rapporto con l'amore? Poi confessa che: «Io non mi innamoro mai. E se sono innamorato, non lo so neanche io. Sono un po’ complicato a livello sentimentale. Sto cercando di capire quali sono i miei dossi, i miei blocchi. Ci sto lavorando». L'ultima volta che si è innamorato è stato all'età di 16 anni. Poi non più. «Perché l’innamoramento si è trasformato in qualcos’altro, e ho iniziato ad avere un diverso approccio al sentimento».